L'estate in Sardegna è meravigliosa, nonostante il caldo afoso che ti lascia sempre una sensazione di intontimento. In questi giorni mi voglio lasciare andare a qualche pensiero sparso e a qualche riflessione. Scherzando, con Emanuela, mia moglie, spesso diciamo: anche quest'anno al mare ci andiamo l'anno prossimo! Onestamente non ricordo nemmeno quando è stato l'ultimo bagno al mare, sono passati parecchi anni. Per chi ha un laboratorio d'arte come il nostro, non esistono ferie, se vuoi mangiare devi lavorare, non puoi permetterti di chiudere la serranda e prenderti del tempo per te. Mi fa sorridere, perché penso a quante volte, parlando con amici di fuori, ci dicono: beati voi che vivete in Sardegna, è un paradiso! È vero, non possiamo negare che vivere in una delle isole più belle del mondo, sia un dono di Dio e un privilegio. Poi, i sardi hanno un attaccamento morboso alla propria terra. Per cui noi possiamo disprezzarla quanto vogliamo, ma guai se qualcuno "esterno" ne parla male! Anathema sit! È un rapporto d'amore non sempre sano, ma siamo così, fieri e invidiosi allo stesso tempo. Fieri di vantare la nostra terra e la nostra storia con chi viene da fuori, ma poi incapaci di collaborare e stare uniti tra noi per un bene comune. Forse gli spagnoli che nel passato ci definirono "pocos, locos y mal unidos" non avevano tutti i torti. Siamo, un pò contraddittori perché, giustamente, ci indigniamo mentre ci piantano centinaia di orribili ed inutili torri eoliche che deturpano siti archeologici millenari e luoghi paesaggistici incantevoli, ma poi quegli stessi luoghi di storia, di cultura e di natura sono lasciati nell'incuria più totale.
Ma io amo la mia terra, non potrei pensare di vivere in un altro luogo e ringrazio Dio continuamente di essere sardo, pur con tutte le nostre contraddizioni.
Quante volte abbiamo avuto la tentazione e l'occasione di andarcene, perché pensando in maniera egoistica, avremmo avuto molte più opportunità di lavoro fuori! Non l'abbiamo mai fatto, anche se ci sono stati momenti di grande difficoltà e ce ne sono ancora, in cui ci assale il pensiero: ma chi me lo fa fare a stare qua a combattere e farmi il sangue amaro! La Sardegna è bella certo, chi viene in vacanza vede chiaramente solo l'aspetto estetico, ma per chi ci vive sempre, è dura. In mezzo a tanti sacrifici e difficoltà non ci siamo mai arresi. Abbiamo pensato che se anche una sola anima avesse avuto giovamento grazie al nostro lavoro, ne sarebbe già valsa la pena.
Perché la nostra visione di fede, cerca sempre di scorgere la volontà di Dio in ogni cosa ed avvenimento quotidiano e ci chiediamo: cosa vuole insegnarci il Signore con questa esperienza che stiamo vivendo? Cosa vuole che facciamo? Abbiamo sempre creduto che il Signore ci abbia voluto dove siamo, proprio perché non c'è niente, perché c'è più bisogno. È facile piantare in un giardino già coltivato, irrigato e fiorito, ma farlo in un deserto è ben diverso. In effetti, noi cerchiamo di vivere una vita e una spiritualità eremitica e come i primi padri e madri del monachesimo abbiamo bisogno di un deserto dove dimorare. Forse è proprio questo il nostro deserto. In questi giorni di luglio, in laboratorio, che è il luogo in cui passiamo la maggior parte della giornata, nel silenzio e nella preghiera, mentre Emanuela cerca di barcamenarsi tra le mille incombenze e trappole della burocrazia italiana, che ti assorbono le energie fisiche e mentali lasciandoti alla fine vuoto ed esausto, io sono immerso nella contemplazione della divina Trinità mentre ne dipingo l'icona, che a fine agosto dovremo collocare nella cappella di una chiesa del nord Sardegna. A me è toccata la parte di Maria di Betania e a lei quella di Marta, che è più ardua ma cerchiamo di condividere ogni peso. Sebbene la nostra vita familiare sia scandita dai ritmi della preghiera e del lavoro, il nostro eremo è pienamente inserito nel mondo. È il mondo il deserto in cui oggi siamo chiamati a nasconderci e a combattere il diavolo. Sentiamo nostre le parole di Gesù nel Vangelo: siete nel mondo ma non siete del mondo. Ci troviamo pienamente in linea con queste parole e capiamo di doverci conformare continuamente a questo programma spirituale. In mezzo a tutte queste faccende, nonostante per scelta non abbiamo la tv in casa, anche per salvaguardare la nostra già provata salute mentale! Ci è capitato di vedere, su internet la cerimonia iniziale delle olimpiadi di Parigi. Non tutta, grazie a Dio, solo i momenti salienti, dopo che qualche nostro allievo scandalizzato ci aveva segnalato la cosa. Devo dire che non sono rimasto eccessivamente stupito, al peggio non c'è mai limite, come si dice, però disgustato e amareggiato, questo si. Vedere, come l'uomo che abbandona Dio, sia svilito a tal punto da perdere ogni bellezza e precipiti nel ridicolo. Ma questa cerimonia, è solo il simbolo e l'evidenza rituale di un mondo che ha scelto di mettersi contro Dio e che per tanto mostra le sue tante maschere da clown. Un'ostentazione di falsa libertà che finisce per offendere non solo la fede cristiana, che da sempre è combattuta e sminuita dal mondo e dal suo padrone infernale, ma che offende l'umanità stessa e degrada l'essere umano ad un livello così basso, che mai la storia abbia conosciuto. Non c'è in gioco solo la perdita della fede ma dell'umanità. L'uomo non è più umano. Ha rinnegato la sua immagine divina per scegliere di indossare i panni del pagliaccio. E proprio mentre guardavo questo nauseante spettacolo pieno di simbolismi massonici e satanici, quelli che questa parte di civiltà, se possiamo ancora chiamarla così, si è scelta, mi risuonava alle orecchie l'opera lirica....ridi pagliaccio!! Realtà e finzione si intrecciano ma alla fine ogni maschera cade e resta solo la verità. Il testo dell'opera di Leoncavallo:
Recitar! Mentre preso dal delirio
Non so più quel che dico e quel che faccio!
Eppur…è d’uopo…sforzati!
Bah, sé tu forse un uom!
Tu sé Pagliaccio!
Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga e rider vuole qua.
E se Arlecchin t’invola Colombina,
Ridi Pagliaccio, e ognun applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto;
In una smorfia il singhiozzo e il dolore…
Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto!
Ridi del duol che t’avvelena il cor!
E allora ridi pagliaccio umano! Ridi del tuo amore infranto! Ridi del dolore che ti avvelena il cuore! Sei tu forse un uomo? Tu sei un Pagliaccio! Tu che da immagine della bellezza divina ti sei trasformato in ombra dell'inferno! Ridi di te stesso e della sventura che ti sei procurato.
Dallo spettacolo tragicomico a cui ormai assistiamo quotidianamente attraverso i mass media, emerge il vuoto di un uomo che ha perso il Paradiso. Ma in mezzo a tutta questa tenebra, c'è sempre una luce, quella di Cristo, che a coloro che credono in lui fa sentire la sua presenza, perché non perdano la speranza e finiscano per pensare di essere stati abbandonati e che questo infernale periodo storico debba durare all'infinito. In mezzo alla blasfema sceneggiata di Parigi, in cui tutto era uno scintillare di luci artificiali con cui gli uomini volevano celebrare Lucifero, il portatore della falsa luce, e dove tra l'altro c'è stato un uso abbondante di colori accesi in totale disarmonia tra loro, che creava inquietudine, il Signore ha risposto in maniera chiara, per chi vuol vederlo. Nel pieno della cerimonia di Parigi ad un certo punto c'è stato un blackout che ha lasciato al buio l'intera città. Pare che l'unico luogo rimasto illuminato sia stato la chiesa del Sacro Cuore di Gesù. Fa un certo effetto vedere la “ville lumiére” immersa nelle tenebre della notte e in lontananza il santuario splendente di luce. Mi pare che la risposta sia stata molto forte. L'unica luce vera e che resta accesa sempre è quella di Cristo, tutte le altre sono false e destinate a spegnersi. Cerchiamo di seguire la luce vera che illumina gli uomini, come dice il Prologo del Vangelo di san Giovanni.