Fin dalle origini il cristianesimo ha sentito l'esigenza di esprimere la propria fede e di comunicarla. L'arte fu uno dei mezzi principali con cui, nel corso della storia, la Chiesa ha trasmesso il messaggio evangelico. L'idea di un'arte fine a sé stessa, senza altro scopo che il diletto dei sensi e l'ammirazione estetica, è un concetto piuttosto recente legato alla nascita nel XVIII secolo delle "belle arti" e del "museo" quale luogo fisico in cui l'oggetto artistico, l'opera d'arte, viene rinchiusa con lo scopo di essere guardata e di produrre stupore. Anticamente, il "luogo" dell'arte cristiana era quello di culto e non poteva essere diversamente poiché, l'iconografia cristiana aveva ragione di esistere in quanto parlava all'uomo di Dio e in un certo modo permetteva a Dio di parlare all'uomo, di rendersi visibile. Annunciava i misteri della fede e soprattutto testimoniava la verità dell'Incarnazione, il fatto che Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Le pareti delle catacombe e delle domus ecclesiae nei primi tre secoli, con uno stile pittorico essenziale e privo di riferimenti spaziali e decorativi, insegnavano ai convertiti il credo della Chiesa ed in un periodo di forti persecuzioni mostravano ai cristiani come comportarsi di fronte al martirio, ossia con l'atteggiamento dell'orante, di chi affronta la sofferenza e la morte come Cristo e con Cristo. Il significato dei simboli era rivelato progressivamente ai catecumeni man mano che si avvicinavano al Battesimo. La Chiesa primitiva non elabora semplicemente una nuova forma d'arte, ma un nuovo linguaggio artistico, il quale partendo dall'arte greco-romana, le dà un indirizzo nuovo, superando il naturalismo mediante un codice di segni in grado di veicolare il messaggio cristiano. Già in questi primi tempi si nota la volontà di non usare l'arte pittorica come semplice narrazione visiva di eventi biblici, ma i soggetti sono carichi di significati simbolici, esprimono concetti teologici, anche se ancora acerbi, hanno una funzione catechetica, pedagogica ed etica, vogliono insegnare al cristiano come vivere la fede. La cosa importante non era l'opera d'arte in sé ma la sua capacità di mettere in comunicazione l'uomo con Dio, di creare una relazione attraverso la preghiera e la contemplazione. Questa funzione dell'iconografia non verrà meno neppure nei secoli successivi ma anzi, con la graduale strutturazione della teologia e della liturgia e la definizione sempre più precisa dei dogmi, anche la teologia dell'icona diviene sempre più chiara e così pure il ruolo dell'icona nella liturgia. Dopo l'editto di Milano del 313 con cui l'imperatore Costantino concede liceità al culto cristiano, si sviluppa uno spazio liturgico specifico per le celebrazioni dei riti cristiani. Alcuni edifici dell'amministrazione pubblica, chiamati "basiliche" vengono concessi alla Chiesa e adibiti al culto. Tra il IV e V secolo il cristianesimo si diffonde in tutto l’Impero Romano e vengono edificate numerose basiliche. È questa l'epoca in cui si fissano le feste liturgiche, si ordinano le relative composizioni iconografiche e le chiese vengono affrescate con grandi cicli raffiguranti gli eventi biblici. L'arte non ha più la necessità di educare un piccolo numero di iniziati mediante un linguaggio criptico, ma ora assume il ruolo di insegnare la fede ad un numero crescente di fedeli. Nell'epoca delle grandi eresie cristologiche e mariane le immagini acquisiscono un contenuto teologico sempre più evidente e si assiste all'assimilazione di elementi artistici greci, latini, egiziani e siriaci. In particolare, le due correnti dell'arte greca e di quella siro-palestinese influenzeranno lo sviluppo della nuova iconografia cristiana. Dal VI secolo la Chiesa inizierà a precisare un linguaggio teologico-iconografico capace di educare il popolo cristiano in piena sintonia con la liturgia.
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