L’iconografia è un’arte che per essere tale deve essere integrata nella Liturgia della Chiesa. Quindi non si può comprendere l’icona al di fuori di questa integrazione.
La chiesa, come luogo di culto, non è un contenitore entro cui si collocano, più o meno razionalmente e ordinatamente degli oggetti sacri e delle opere d’arte, così come si farebbe in un museo.
Tutto ciò che sta dentro la chiesa trova il suo senso nella misura in cui è funzionale alla liturgia celebrata. L’icona usa un linguaggio che corrisponde a quello liturgico, mai quindi si può ridurre a decorazione o narrazione. In un certo senso, nella sua dimensione liturgica e sacramentale, l’icona consacra i tempi e i luoghi in cui si trova, anche le case dei fedeli che possiedono un angolo della bellezza, un’icona attorno alla quale pregare. Scrive P. Evdokimov : «di un’abitazione neutra fa una “chiesa domestica”, della vita di un fedele fa una vita orante, liturgia interiorizzata e continuata. Il visitatore, entrando, s’inchina davanti all’icona, raccoglie lo sguardo di Dio e poi saluta il padrone di casa»
Così nella chiesa antica, e ancora oggi in quelle di rito orientale, tutto è pensato e finalizzato al mistero che si rende presente nella celebrazione. Per questo motivo, le icone sia mobili che fisse sono disposte secondo una logica ed un ordine preciso e mai casuale. Tutto è orientato verso l’altare dove avviene il sacrificio eucaristico.
Nella tradizione bizantina, l’icona lignea occupa uno spazio preciso della chiesa: l’iconostasi. Questo elemento architettonico si sviluppa già con le prime basiliche, non tanto per nascondere il Mistero che si celebra sull’altare, o per separare il presbiterio dall’assemblea, i sacerdoti dal popolo, ma soprattutto perché i fedeli potessero avere continuamente davanti agli occhi gli eventi della salvezza e contemplare ciò che con le labbra veniva proclamato nella liturgia. In tal modo ogni senso umano veniva coinvolto nell’azione liturgica: le orecchie ascoltavano la Parola di Dio e gli inni che venivano cantati in onore del Signore, l’olfatto percepiva il soave profumo dell’incenso che saliva al cielo insieme alla preghiera dei partecipanti, la bocca sentiva il gusto del pane e del vino eucaristico, e gli occhi contemplavano la bellezza divina attraverso le forme e i colori delle icone, che venivano anche toccate e baciate dai fedeli in segno di rispetto e venerazione. Tutto aveva un forte senso simbolico. Quando un cristiano entrava in una basilica, e vedeva ovunque sui muri e nell’iconostasi le immagini del Signore Gesù, della Madre di Dio, degli Angeli e dei Santi, aveva la sensazione di trovarsi già in Paradiso, tutta la Chiesa trionfante e gloriosa si trovava là presente. Poteva dialogare con i santi, invocare la loro intercessione, inchinarsi umilmente davanti all’immagine del Signore e supplicare il suo perdono e la sua misericordia. Il fedele poteva in tal modo fare esperienza diretta della Comunione dei santi e nel contemplarli, si sentiva spronato ad imitarne le virtù e ad intraprendere un cammino di fede più profondo. Così la preghiera dell’assemblea e del sacerdote si univa a quella della corte celeste, degli angeli e dei santi che stanno davanti al trono dell’Altissimo. La Chiesa celebrava un’unica Divina Liturgia che univa il cielo e la terra, ed in essa il Signore si rendeva presente e operante.
Dovette essere questa l’esperienza fatta dagli inviati del sovrano degli antichi territori russi, quando, come racconta una leggenda, mandati a cercare una religione adatta al suo regno pagano, la riconobbero nel cristianesimo di rito orientale. Si narra che questi inviati, dopo essere stati in vari luoghi invano, giunsero a Costantinopoli, ed entrarono nella basilica di Santa Sofia, proprio durante la divina liturgia. Restarono così estasiati che al loro ritorno dissero: era tanta la bellezza che non sapevamo se fossimo ancora sulla terra o in cielo!
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