Dopo gli eventi pasquali il messaggio evangelico si diffuse in tutto l’Impero Romano. Furono i primi cristiani, gente comune a diffondere il Vangelo. San Paolo nella “Lettera ai Romani” attesta che al suo arrivo, a Roma era già presente una comunità cristiana. In principio i cristiani non avevano un luogo di culto specifico e si riunivano per pregare in case private, che avevano degli spazi adibiti alla celebrazione. Furono proprio in questi edifici, chiamati “domus ecclesiae”, cioè “case dell’assemblea” che si svilupparono le prime liturgie e in cui nacquero le prime forme di arte cristiana.
Le domus, come le catacombe si riempirono di affreschi simbolici e di scene bibliche, che nei loro soggetti, in parte riprendevano l’arte classica greco-romana e per altri si legavano a quella siriaca e giudaica.
Un esempio molto importante è il sito archeologico di Dura Europos, in Siria, in cui troviamo accanto ad una sinagoga, una domus cristiana del III secolo d. C., entrambe affrescate con motivi e tecniche simili. Sia l’arte giudaica che quella cristiana delle origini, oltre ad essersi condizionate vicendevolmente, hanno subito l’influenza dell’arte greca, mantenendo però una loro originalità, anche e soprattutto nel messaggio che intendevano trasmettere.
La Chiesa primitiva, non si separa immediatamente dal culto giudaico, ma inizialmente partecipa ai suoi riti, solo dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d. C) ad opera dei romani, e l’espulsione dei cristiani dalle sinagoghe, inizia una distinzione sempre più netta, cosa che avverrà anche in campo artistico, dove la proibizione veterotestamentaria relativa alle immagini, viene meno sia nelle sinagoghe che nelle domus cristiane.
I cristiani vivono in una cultura di matrice greca e da essa acquisiscono il linguaggio simbolico e le forme della propria arte rivestendoli di un contenuto nuovo, capace di esprimere la propria fede e rappresentare la realtà soprannaturale.
L’arte classica cercava di immaginarsi il pantheon delle divinità, come uno specchio della realtà terrena e raffigurava gli dèi in modo antropomorfico, ad immagine dell’uomo, con tutte le sue debolezze e imperfezioni, sforzandosi di abbassare il cielo sulla terra, perché il divino fosse a misura d’uomo.
L’arte cristiana fa l’opposto, intende rappresentare la realtà celeste, elevare l’uomo verso Dio, raffigurare non “Dio ad immagine dell’uomo” ma “l’uomo ad immagine di Dio”, come insegna il libro della Genesi.
Se l’arte pagana esprimeva il trionfo della carne, l’arte cristiana voleva essere il trionfo dello Spirito sulla carne.
La Chiesa dal mondo in cui si trova prende ciò che le serve per comunicare il suo pensiero. Per elaborare la sua teologia orale, scritta e in immagini, si appoggia anche alla filosofia classica depurandola dai concetti in contrasto con la fede. In particolare, assorbe la capacità analitica dei filosofi greci e latini.
Nell’arte si assiste all’assimilazione di elementi greci e mediorientali, preventivamente filtrati e poi convogliati nel solco della predicazione cristiana. La Chiesa trova i “germi di verità” che il Creatore ha seminato nel mondo, dando così forma e sostanza alla sua arte e alla sua teologia. In particolare, le due correnti artistiche dell’epoca, greca e siriaca si fusero per dar vita alla nuova arte cristiana.
La bellezza, l’armonia, la forma, il ritmo, la grazia, l’eleganza dell’ellenismo si sposarono con il crudo realismo siriaco. Si rinunciò al naturalismo dell’uno e all’idealismo dell’altro ma rimasero il ritmo, la bellezza, il vero, e quella che fu denominata “prospettiva inversa” che divenne una delle principali caratteristiche dell’iconografia cristiana nei secoli seguenti.
All’iconografia del Cristo imberbe di origine pagana fu preferita quella orientale con la barba. La Vergine Maria, prese la tunica dalle donne romane e il maphorion (mantello) dalle siriache.
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