Nell’icona come nella divina Liturgia, accanto ad altre importanti forme espressive predomina il linguaggio simbolico.
L’aspetto narrativo non è l’unico presente nell’icona, ve ne sono altri meno evidenti ad un primo sguardo. Le icone sono veri e propri “trattati di teologia a colori”, di conseguenza è necessario saperne interpretare il linguaggio, avere accesso a strumenti adeguati all’interpretazione dei simboli presenti e alla loro corretta lettura.
La parola «simbolo» viene dal greco «syn-bàllein» che significa «gettare insieme». Implica il senso di: congiungere, accomunare, incontrare. Anticamente il «symbolon», era un oggetto che veniva con-diviso, cioè, diviso in due parti uguali, e consegnate a due persone diverse che quando si ritrovavano, potevano identificarsi, riconoscersi. Soltanto quando le parti venivano riunite appariva chiaro il significato e il valore dell’oggetto. Ciò che caratterizza il simbolo è il fatto che esso, permette il manifestarsi visibile d’una realtà altrimenti invisibile e indicibile, d’una esperienza interiore che impegna ad una corrispondenza vitale. Non si deve confondere il simbolo con la metafora, perché quest’ultima è un dato puramente linguistico, mentre il simbolo opera una vera e propria mediazione, pone in relazione dei soggetti consentendo il manifestarsi d’una presenza. Il simbolo va distinto anche dal segno. Quest’ ultimo ha un carattere unicamente informativo e indicativo, pone infatti in relazione un significante e un significato, mentre il primo ha carattere comunicativo, mette in comunione-relazione due soggetti-realtà, ossia in termini filosofici, pone in rapporto due significanti.
L’icona è un simbolo che permette la comunicazione tra l’umano e il divino; rende immanente la trascendenza divina, visibile ciò che agli occhi del corpo non appare immediatamente o non è attingibile, ma che l’intelletto illuminato dalla fede riesce a intuire e contemplare. Lo sguardo di fede non si ferma di fronte alla realtà materiale dell’oggetto che viene posto davanti, ma coglie il suo aspetto nascosto, più profondo, si riposa nella contemplazione del volto di Dio, supera la bellezza estetica dell’arte pittorica per posarsi sull’Archetipo d’ogni bellezza, la Luce divina.
Lungi da ogni deviazione idolatrica nell’icona, i credenti non adorano il legno e i colori, l’armonia delle forme, la precisione della geometria bensì ciò che essi rappresentano e ricordano.
Nell’icona si manifesta un’ulteriorità che non è pienamente descrivibile e oggettivabile; una “epifania del divino” che nasconde e contemporaneamente manifesta il mistero che la anima; una finestra spalancata sul mondo soprannaturale. In questo processo è ravvisabile anche la dimensione escatologica dell’icona. Essa si trova come la Chiesa temporale, tra il già e il non ancora della storia della salvezza. Abita la dicotomia tra tenebre e luce, vita e morte, mondo presente e futuro, li legge e li rappresenta secondo la visione della fede cristiana. Il simbolo iconografico infrange le barriere spazio-temporali immergendosi in una dimensione ulteriore i cui canoni sfuggono alla comprensione logica e non possono essere totalmente rinchiusi nelle categorie di pensiero razionali. Si tratta in fondo, di un’esperienza contemplativa in cui il soggetto che si rapporta con l’icona, viene proiettato oltre le forme e le figure rappresentate, accedendo mediante questa porta, alla dimensione del mondo divino.
Ogni fase della realizzazione di un’icona nasconde un significato simbolico, a partire dal legno della tavola che ricorda la santa croce e l’arca dell’alleanza che conteneva la presenza divina, sul legno poi si incolla una tela di lino che è simbolo del telo sindonico in cui venne deposto il corpo del Signore; il gesso rimanda al sepolcro, e anche i colori, i gesti e gli abiti dei personaggi non sono casuali, ma come ogni altro elemento della composizione, hanno un significato preciso.