Durante le conferenze sull’iconografia capita spesso che qualcuno dei partecipanti mi chieda: come mai lei che è cattolico si occupa delle icone ortodosse? Nella mentalità comune si crede che l’icona appartenga esclusivamente alla tradizione della Chiesa orientale, ed è difficile far comprendere come in realtà le cose stiano diversamente. Quando spiego che le icone sono patrimonio comune di tutta la Cristianità, perché nascono e si sviluppano in un tempo in cui ancora la Chiesa di Cristo era unita, e come durante la più grave crisi iconoclasta che la storia del cristianesimo abbia vissuto, nel VIII-IX secolo, i Papi furono tra i più ardenti difensori delle sacre icone, e che infine la Chiesa ha discusso in diversi Concili Ecumenici sull’importanza e il ruolo dell’iconografia tanto da giungere a formulare un dogma sulla venerazione della sante icone, si stupiscono e spesso esclamano: ma perché nessuno ce lo aveva mai detto? In realtà i motivi di questo “vuoto” tematico hanno radici storiche molto lontane. Di fatto già il Concilo di Costantinopoli del 692, con tre canoni si occupa della questione dell’arte sacra. Il numero 73 tratta dell'immagine della santa croce, evidenziando l'onore e la venerazione che si deve a questo segno della fede cristiana e di come la si debba raffigurare sempre in luoghi adatti, non esponendola ad essere vilipesa. Il can. 100 invece si sviluppa intorno al divieto rivolto a quelle rappresentazioni di provenienza pagana che corrompono le anime dei cristiani. Si sente la necessità di prendere le distanze da alcune usanze ancora presenti all'epoca, come le solennità in onore di Bacco che influenzavano negativamente la morale cristiana con rappresentazioni pittoriche impudiche. La Chiesa pretendeva specialmente negli spazi liturgici, un'arte che tenesse in adeguata considerazione l'etica cristiana. Ma soprattutto il can. 82 abolisce la simbologia dell'arte paleocristiana in quanto allusione della verità, benché necessaria nei primi tempi della Chiesa e dichiara che si deve raffigurare nelle icone, il Cristo in maniera più esplicita e diretta, nella forma in cui Egli si è manifestato al mondo, nella sua realtà umana. Il Concilio offre una definizione piuttosto utile riguardo alla dimensione canonica dell'icona che per dirsi tale deve rispettare alcune regole fondamentali: adeguata qualità liturgica; conformità alla Sacra Scrittura; fedeltà alla Tradizione; ortodossia teologica; stile d’arte realistico-simbolica; capacità di esprimere il Regno di Dio, ossia gli aspetti escatologici e soprannaturali della Chiesa. Per questo non tutte le forme artistiche erano ammesse all’interno dell’edificio di culto, ma solo quelle che rispondevano a queste caratteristiche. I Concili dei primi secoli avevano combattuto per difendere le verità della fede contro il pericolo di dottrine che le negavano o contraddicevano, specie riguardo all'Incarnazione divina. L'attacco alla dottrina cristologica si rivolse ad ogni forma di comunicazione di queste verità, non solo verbale ma anche visiva; perciò, le eresie nate nell'VIII secolo combattevano la realtà dell'Incarnazione, attaccando l'immagine di Cristo. Fu proprio in questo periodo che in tutta la cristianità, specialmente orientale dilagò l'eresia iconoclasta. Già nel 731 Papa Gregorio III, riunì un sinodo in cui si ordinava la scomunica contro chiunque avesse osato distruggere le icone e per riparare gli oltraggi che gli iconoclasti avevano perpetuato contro le immagini dei santi, istituì solennemente la festa liturgica di "tutti i santi". Il VII Concilio Ecumenico di Nicea del 787 poi confutò tutte le dottrine iconoclaste e al termine delle discussioni giunse a pronunciare la formula che stabilisce il dogma della venerazione delle icone: L'onore reso all'icona, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l'icona venera la realtà di chi in essa è riprodotto.
Discussione su questo Post
Nessun post