Non si apprezzano mai abbastanza le cose se non quando le perdi o rischi di perderle. Io ho la grazia di vivere in un paesino tranquillo, con poche migliaia di abitanti, ideale per poter svolgere la mia attività di iconografo. Non riuscirei più a stare nel chiasso di una città, immerso nei rumori del traffico urbano. Il fatto poi di avere il laboratorio a poche centinaia di metri da casa, mi consente di andare a lavorare a piedi e assaporare il fresco della mattina e i suoi profumi. Oggi lo apprezzo ancora di più, pensando al terribile periodo della pandemia, quando ci era vietato perfino di uscire di casa per recarci al lavoro. Spesso diamo per scontate le cose, come se niente dovesse mai cambiare, ma non è così. Ora viviamo in un paese, l’Italia che è in pace e crediamo che la guerra sia qualcosa che non ci possa toccare, lontanissima da noi. Ma questa è esattamente la stessa convinzione che avevano i popoli e le nazioni che oggi sono dilaniati dalla guerra. La verità è che nessuno può sentirsi sicuro in questo mondo, perché il diavolo ha di mira la distruzione dell’umanità e ispira continuamente disegni malvagi agli uomini che hanno scelto di servirlo, i figli delle tenebre come li chiama il Vangelo. La maggior parte degli italiani, la guerra l’ha vista solo nei film o al telegiornale, perciò la vede come qualcosa di distante, che non gli appartiene. Io invece l’ho vista dal vivo, quando facevo parte della Brigata Paracadutisti Folgore, e forse per questo capisco quanto sia facile perdere la pace, come sia fragile e basti veramente poco per precipitare nell’abisso. In zona di guerra, morte, sofferenza e distruzione, sentire le esplosioni e fischiare le pallottole, diventa la normalità, ci si abitua a tutto, anche perché sei addestrato a questo, poi quando torni in patria, nella tua terra, il silenzio e la tranquillità ti sembrano quasi surreali. La distanza fisica in fondo era poca, da Sarajevo a Pisa c’era solo un’ora di aereo, eppure era un altro mondo, la differenza la faceva l’odio. In Bosnia durante la guerra e anche dopo, potevi percepire l’odio nell’aria, il male si respirava e sapevi che tutta quella devastazione che vedevi non poteva essere solo opera umana. Là ho capito in maniera chiara quanto fosse grande l’odio del diavolo verso l’uomo. Ho capito anche meglio le parole di Gesù:
“Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà”. (Luca 17:26-30)
Certo Gesù si sta riferendo al suo ritorno glorioso e a ciò che lo precede, ma a me interessa far notare come lui sottolinei l’atteggiamento degli uomini, che vivono senza minimamente preoccuparsi, continuando nei loro affari e nutrendo i loro vizi, come se fossero immortali. Pensiamo che a noi certi mali non debbano capitare mai, ma puntualmente veniamo smentiti dalla storia. Noè, era attento e ascoltava il Signore e non si è lasciato cogliere impreparato dal disastro del diluvio. Ma la maggior parte è stata colta inaspettatamente. Mi pare che anche oggi l’atteggiamento generale sia lo stesso, meno che mai ci si preoccupa della salvezza dell’anima, tutti intenti a trovare il modo di vivere più a lungo e meglio possibile qui sulla terra.
Sarajevo era una città bellissima prima della guerra, ci avevano disputato anche i mondiali di sci, ma a metà degli anni Novanta era irriconoscibile, i bombardamenti aerei e di artiglieria avevano sventrato la maggior parte dei palazzi e delle case, solo poche strutture erano rimaste in piedi.
Oggi la rivedo nelle immagini di Gaza, di Kiev, di Damasco, di Beirut, tutte città meravigliose, con una storia antica distrutte dalla follia della guerra, penso alle persone che vi abitavano costretti da un momento all’altro a fuggire e lasciare la propria casa, perdere in un istante i sacrifici di una vita, ai bambini che giocavano per strada e che ora non possono più, perché quelle strade non ci sono più o perché loro stessi non ci sono più. Ci vuole veramente poco a perdere tutto e penso che dovremmo combattere per mantenere la pace, perché è un dono di Dio che dobbiamo custodire. Non a caso è una delle beatitudini evangeliche. San Francesco d’Assisi salutava così: il Signore vi dia pace! Mi è sempre piaciuto molto ed è un saluto che dovremmo usare spesso. Soprattutto oggi che nemmeno ci si saluta più. Nelle nostre relazioni è diventato tutto ovvio. Non sappiamo più stupirci di niente. Perfino i bambini hanno perso lo stupore che è legato all’innocenza. Non siamo più capaci di vedere la gratuità dei doni di Dio. E non sappiamo nemmeno godere di quei doni. Non sappiamo riconoscere la pace se non quando la perdiamo. Se non abbiamo pace nei nostri cuori, non c’è pace nelle famiglie, se non c’è pace in famiglia, non c’è pace nella società, se non c’è pace nella società non c’è pace nel mondo. La pace quindi si costruisce prima dentro di sé, nella propria anima ed è lì l’unica guerra che ci è consentito di fare contro tutte le forze che cercano di impedirci di stare in pace e di donare pace. Altrimenti quelle che sembrano guerre lontane, presto arriveranno a bussare alle nostre porte. Penso che ai cristiani oggi, tra le altre cose, sia chiesto questo: essere custodi e costruttori di pace. Ma ripeto, innanzitutto dobbiamo essere in pace con Dio, sentire dentro di noi la pace del suo perdono. Come facciamo a dare agli altri quello che noi non abbiamo? Per questo, un santo monaco della Chiesa russa, san Serafino di Sarov, diceva: conquista la pace del cuore, e a migliaia si salveranno intorno a te!
Correndo dietro a questi pensieri, mentre dipingo, chiedo al Signore proprio questo dono, per me e per tutti. Signore donaci la tua pace, perché quella del mondo non ci basta e dura troppo poco!