"Eikon-graphein: Alla Riscoperta dell'Autentica Iconografia Cristiana"
di Michele Antonio Ziccheddu
«Icona» ed «iconografia» sono termini ricorrenti nel linguaggio attuale, ma svuotati spesso del loro significato originario e del loro senso più vero. Mi è sembrato importante
iniziare questa nuova rubrica, con un articolo che aiutasse a far chiarezza e rappresentasse l’ingresso all’edificio dell’iconografia cristiana, nelle cui stanze ci addentreremo con i prossimi articoli. Il greco Eikon-graphein ci fa capire già qualcosa: l’iconografia è l’azione di scrivere/dipingere (graphein) l’immagine (eikon). Come vedremo, l’icona in senso cristiano, non è un’immagine qualunque, né di conseguenza l’iconografia può essere considerata genericamente un’arte pittorica. Senza voler dare una definizione esauriente, potremmo dire che essa è una disciplina artistico-spirituale, che implica da parte dell’iconografo un cammino di fede e non solo una crescita artistica, attraverso cui si comunica il messaggio cristiano in conformità con la Sacra Scrittura e con l’insegnamento della Tradizione della Chiesa. L’icona, dunque, è un’immagine teologica e l’iconografia un’arte liturgica, il cui senso più profondo sta nell’agire di Dio per mezzo di essa. L’icona è un’immagine che provoca il dialogo con Dio, apre all’uomo la possibilità di comunicare con il Signore nella preghiera. Come avremo modo di vedere, non tutte le immagini possono essere definite icone, né ogni tipo d’arte, anche se religiosa, può essere chiamata iconografia, perché ciò sia possibile è necessario che ricorrano alcune caratteristiche distintive e si seguano dei principi che vengono denominati canoni, alcuni di essi sono legati direttamente al testo biblico, altri si sono sviluppati nel corso della storia della Chiesa. L’icona presenta una molteplicità di linguaggi, ugualmente l’iconografia prevede un approccio multidisciplinare che non può prescindere dallo studio della teologia e dalla conoscenza della Bibbia. In questo senso l’iconografo non può essere considerato semplicemente un pittore, né lui dovrebbe definirsi tale, ma è chiamato ad essere anche e soprattutto un uomo di preghiera e ad approfondire lo studio delle scienze che compongono questa disciplina. Inoltre, l’icona ha una dimensione sacramentale molto forte, che impedisce di ridurla ad un semplice oggetto devozionale, ma la lega strettamente alla vita della Chiesa e alla sua azione liturgica, perché non solo rappresenta, ma rende presente Colui che viene raffigurato, così come viene spiegato chiaramente dai Padri del Concilio di Costantinopoli del 869: «Ciò che il Vangelo ci dice con la parola, l’icona lo annuncia con i colori e ce lo rende presente». Dicendo questo i Padri conciliari evidenziano una caratteristica fondamentale e distintiva dell’icona e dell’iconografia, le quali non solo raffigurano o descrivono con i colori, ma rendono realmente presente il Signore. Per cui l’iconografia, così come era intesa dalla Chiesa antica e come ancora oggi è vissuta nella Chiesa di rito orientale, non è riducibile al concetto medievale di Biblia pauperum, che tanto successo ebbe nel cristianesimo latino, il suo carattere non è infatti solo narrativo o illustrativo ma è epifanico, ossia manifesta ciò che rappresenta. Ed è fonte di luce anche l’accostamento che i Padri fanno tra il Vangelo e l’Icona, entrambi parlano, sono Parola di Dio, ciò che cambia è il mezzo di comunicazione, l’uno auditivo e l’altro visivo, ma il contenuto del messaggio è il medesimo. Per questo il Catechismo (1160) dice: «L'iconografia cristiana trascrive attraverso l'immagine il messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola. Immagine e parola si illuminano a vicenda». Un’arte che fin dai primi secoli ha accompagnato la Chiesa e testimoniato silenziosamente la fede dai muri delle basiliche e dagli angoli di preghiera delle famiglie cristiane, arricchendo il mondo di opere d’arte e spiritualità che ancora oggi possiamo ammirare.
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