Quando lavoro in laboratorio, cerco di mantenere lo spirito vigile pregando interiormente o meditando, a volte ascolto musica religiosa, canto gregoriano o bizantino, oppure ascolto la Sacra Scrittura, o vite di santi e loro insegnamenti. È una cosa molto importante per un iconografo, non dimenticarsi di restare unito al Signore mentre dipinge, disegna o fa qualunque altro lavoro. Ma questo solo se si vuole vivere l'iconografia davvero come una via spirituale, altrimenti se è solo un passatempo, questo aspetto viene subito messo in secondo piano. È facile che le pretese del proprio io, prendano il sopravvento e così, tutto ciò che doveva servire per dare gloria a Dio, diventa un mero strumento di soddisfazione personale.
L'amor proprio – diceva san Francesco di Sales – muore cinque minuti dopo di noi, ed è proprio vero! Se poi la sua esuberanza non viene tenuta a freno, allora si espande ed occupa sempre più spazio e tempo, la vita finisce per diventare un modo per placare le brame del nostro io, la giornata un contenitore da riempire di noi stessi. Come dico spesso ai miei allievi - l'iconografia è una disciplina ascetica artistico-spirituale che ha come scopo, quello di insegnarci a morire a noi stessi per vivere in Dio. Tenere a freno il proprio io, educarlo, indirizzarlo, sottometterlo è quella che si chiama: disciplina. In questo cammino, il detto di san Giovanni Battista "Lui deve crescere ed io diminuire" dovrebbe sempre essere tenuto presente, meditato e vissuto. La realtà dell'iconografia contemporanea è un pò lo specchio della Chiesa e del mondo. Dio sta diminuendo e l'io sta crescendo. Egocentrismo e narcisismo ormai imperanti. La voglia di essere apprezzati, visti e considerati è preponderante. Vale la logica dei social. Se sei seguito, hai molti follower, allora vali. L'avida ricerca dei like che gonfiano la propria autostima. Se piaci vuol dire che sei bravo! Così nascono le gare e le competizioni per ottenere più consensi, per emergere. Ah, "vanità delle vanità", dice Qoèlet, e l'autore de "L'Imitazione di Cristo" completa questo pensiero dicendo: "tutto è vanità, fuorché l'amare Dio e servire a lui solo". Bisognerebbe ricordare le parole di san Francesco d'Assisi: "quanto un uomo vale davanti a Dio, tanto è, e non di più!" Sarà la mia impressione, ma tutto questo desiderio di dare gloria a Dio, non lo vedo in giro. Vedo invece l'opposto. Vedo come in ogni ambito, anziché l'ultimo posto, il più basso e nascosto, si cerca il primo. E se l'io è al primo posto, è inevitabile che Dio sia relegato all'ultimo. Va bene che ormai anche il più semplice e ovvio discernimento spirituale, tra i cristiani, è sparito, le porte dell'anima sono indifese, per cui i nemici fanno quello che vogliono. Perché nessuno combatte più per le virtù, non si preoccupa della salvezza dell'anima e ancor meno se con i suoi comportamenti dispiace o offende Dio. Men che meno se ne preoccupa chi ha scelto di fare un cammino iconografico, né i maestri ai loro allievi insegnano più a mettere Dio al primo posto, a servirlo e a dargli gloria con le loro opere, a trasmettere la fede in maniera seria ed ortodossa, continuando ad essere fedeli a ciò che ci è stato trasmesso dai nostri Padri, anche se questo comporta l'isolamento e l'incomprensione da parte di chi invece vuol fare solo ciò che gli pare e piace. È uno strano spettacolo - che se non fosse tragico nelle conseguenze, sarebbe anche comico - guardare come ci si affatica a sgomitare per farsi notare. E pur di primeggiare si calpesta ogni cosa, ogni valore, ogni canone, conta solo ciò che vogliamo noi, ciò che pensiamo, quello che Dio vuole non è così importante. La Chiesa deve evolversi, deve cambiare! è lo slogan che riecheggia ormai ovunque tra le volte delle chiese. Così ciò che un tempo i maestri spirituali definivano "superbia e vanagloria" oggi viene chiamato "progresso". Ciò che prima si chiamava "obbedienza" oggi è diventata "credenza antiquata", limite all'espressione della propria libertà e personalità. Ah, certo dimenticavo! oggi non si può anteporre nulla alla propria libertà, che è ormai stata elevata ad assoluta. L'uomo che crede di essere Dio e si convince di poter fare ciò che vuole! Il mito illusorio dell'indipendenza! Se niente o nessuno me lo impedisce, perché non farlo? Situazione in cui anche Eva nell'Eden, davanti alla mela, si era trovata e sappiamo come è andata a finire! Ma l'uomo non impara mai dai suoi errori e ci ricasca sempre. Questo modo di ragionare, in iconografia finisce per generare un errore dietro l'altro. L'adesione alla Tradizione e al canone, oltre a non essere un limite, è una sicurezza, un atto di umiltà, ci si affida all'esperienza e alla sapienza di chi ci ha preceduto, non ci si appoggia solo ai propri gusti e fantasie, e questo atteggiamento ci mette al riparo da tanti sbagli. Certo l'icona deve essere frutto di studio, consapevolezza e preghiera e non di semplice copiatura meccanica. L'iconografo non è un copiatore che riproduce in serie solo ciò che è stato fatto, ma nemmeno uno che si inventa di sana pianta icone senza alcun fondamento teologico, storico, simbolico, solo perché dice di sentirsi ispirato, non si sa da cosa o da chi! L'iconografo serio sa appoggiarsi sulle spalle dei giganti che lo hanno preceduto per spiccare un volo, un salto più avanti! Ma chi si appoggia sul nulla o solo su se stesso, può solo fare salti nel vuoto! Ormai si assiste al dilagare di forme iconografiche fantasiose, spesso totalmente inventate, slegate dalla Scrittura e dalla Tradizione, in cui non si rispettano le più semplici regole, ne tecniche ne simbolico-teologiche; cose che non seguono più alcun principio che le faccia definire giustamente con il termine "icona". Gli esempi sarebbero davvero troppi! Siamo giunti ad una sorta di relativismo iconografico, siamo di nuovo nella situazione già vissuta nel medioevo, l'umanesimo vuol sostituire il cristianesimo, l'eterodossia soppiantare l'ortodossia. Si vuole di nuovo ridurre l'icona ad opera d'arte e decorazione, ad opera delle sole mani dell'uomo, soggetta al solo arbitrio individuale e fantasioso dell'artista. Non c'è niente da fare, l'io non muore mai! Disubbidire è sempre più eccitante che restare fedeli a Dio! Ma, dice la Scrittura: "Se ne ride chi abita i cieli! Li schernisce dall'alto il Signore". Questa iper-esaltazione dell'io e della falsa creatività non tarderà a produrre la distruzione della vera iconografia e mi meraviglio come in tanta orribile vanità che si vede in giro, ancora le icone o presunte tali, siano lasciate anonime. Ma non tarderemo a vedere comparire le firme dell'autore su di esse. L'io non ce la può fare! Devono sapere che l'ho fatta io! Ahi, ahi, mala tempora currunt!
Non so quanto possa essere contento il Signore di tutto questo festival dell'esibizionismo! Oggi nessuno ne parla più, ma la disciplina è necessaria in iconografia come nella vita, e nel mondo di oggi, si soffre enormemente questa mancanza. Avere delle regole, dei valori, dei principi, dei punti fermi è considerato limitante, soffocante per la propria libertà che così resterebbe inespressa. Ma che cosa ti fa sentire in gabbia? Le regole oppure il non poter fare ciò che ti pare? Alla base di questo atteggiamento c'è sempre la ribellione dell'io. È l'io ribelle che ha fatto precipitare gli angeli dal cielo; è l'io ribelle che ha fatto cadere i primi uomini sulla terra; è l'io ribelle che oggi come in ogni epoca, allontana l'uomo da Dio. Oggi poi, viviamo in un tempo in cui, non solo non si disciplina l'io, ma lo si esalta. L'io è il dio dell'epoca contemporanea. Forse mai come oggi, l'uomo ha idolatrato il proprio io, tanto da non avere altro fine che se stesso. Si è rovesciato il primo Comandamento del Sinai. È curioso come proprio ai giorni nostri si assiste alla nascita di fenomeni mondani che esaltano la mania di protagonismo, come quello dei cosìdetti "influencer", e la Chiesa, cada nel tranello di un'apparente strumento di evangelizzazione, accogliendo un mezzo che però nasconde in sè un fine, non vedendo il pericolo che ne deriva. In un breve lasso di tempo siamo passati dall'Influenza (covid) all'Influencer. L'altro giorno, mentre nel silenzio del mio laboratorio, dipingevo, mi è capitato di ascoltare la vita di san Charbel. Una figura bellissima e molto attuale. In controtendenza rispetto a questo eccessivo bisogno di parlare e di farsi vedere, tipico anche di sempre più preti e religiosi che preferiscono il pulpito mediatico di internet e dei social rispetto a quello tradizionale. È comprensibile! C'è tutta un'altra soddisfazione ovviamente, a predicare su internet a migliaia di persone che magari nemmeno vedi, rispetto alle solite quattro o cinque vecchiette che abitualmente sono le tue uniche follower della liturgia settimanale! Così capita che le chiese si svuotino di fedeli reali mentre i follower virtuali aumentano. Succede che ai sacramenti partecipi sempre meno gente, mentre si preferisce la Messa in Tv. Si ascoltano le catechesi su Youtube o i reel su Instagram ma quando le catechesi si fanno in chiesa non partecipa nessuno o pochi fedelissimi. In tutto questo c'è qualcosa che non va, c'è una nota stonata. Ho come l'impressione che il "virtuale" stia sostituendo lo "spirituale". Se fosse vero, il pericolo che abbiamo davanti è molto grave e non da sottovalutare. Mi sembra che tutta questa ricerca di visibilità, dietro una facciata di utilità, celi il sottile e perenne pericolo dell'egolatria. Siamo sicuri che sia la strada giusta? Non dico che i mezzi attuali di comunicazione siano da demonizzare, li uso anche io, ma penso che bisogna stare davvero attenti perchè, anzichè portare la gente a Cristo, finiscono per mettere noi al centro dell'attenzione. Il pericolo del narcisimo e del protagonismo può facilmente mascherarsi da esercizio di carità o di evangelizzazione. Quale è la cartina di tornasole per vedere se tutta questa evagelizzazione mediatica è davvero lo strumento di apostolato che pretende di essere? La risposta mi pare questa: se i follower si trasformano realmente in fedeli praticanti. Se però le chiese si svuotano, mentre crescono i follower, allora vuol dire che è in atto una forma di sostituzione del cristianesimo reale in religiosità virtuale, questo può essere molto dannoso. Perchè il cristianesimo diventerebbe un'altra proposta di spiritualità tra le tante, che vuole far star bene l'uomo, che si preoccupa del suo benessere terreno, ma non della salvezza della sua anima, della sua salute eterna. Direi che c'è davvero tanto da riflettere, soprattutto di fronte a figure di santità come quella di san Charbel, un monaco eremita libanese che ha vissuto l'intera sua vita in totale nascondimento e silenzio, sconosciuto a tutti. Amava talmente la virtù del nascondimento, che non ha mai voluto nemmeno essere fotografato e infatti non abbiamo nessuna sua foto da vivo. L'unica foto che possediamo è stata scattata in maniera miracolosa, perchè la sua figura è apparsa in una fotografia scattata nel luogo in cui ha vissuto, ma lui era già morto da tempo. Perchè il nascondimento è umiltà, i santi sono umili e dunque non amano in alcun modo apparire, quando devono apparire o parlare lo fanno con grande sforzo, non certo con piacere. Il piacere di mettersi in mostra invece nasconde sempre la vanagloria. Sembra che un giorno Charbel chiese al Signore se non fosse il caso che andasse anche lui in giro a predicare come facevano tanti e Gesù gli rispose: salverai più anime nascosto con me nel silenzio. Oggi san Charbel è conosciuto ovunque. A volte, anche nella Chiesa si confonde il successo personale con l'efficacia dell'evangelizzazione. Dio può salvare più anime attraverso la sofferenza di persone che vivono ammalate in un letto o sconosciute in un eremo o pregano in una semplice casa, piuttosto che attraverso le parole di chi parla di Dio ma indica se stesso. Dipende tutto dall'amore, da quanto siamo uniti a Dio, e questo non è visibile all'esterno, lo vede solo il Signore.
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